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martedì 5 gennaio 2016

A proposito della misericordia. Brevi riflessioni su un tema controverso.



Ferdinando Scianna
Il tema della misericordia è, ormai, all’ ordine del giorno. Gli amici della Pulzella si chiedono, tuttavia, quale significato questo termine abbia e, soprattutto, se questa parola abbia la stessa portata semantica che con insistenza si sente riecheggiare durante le omelie di questi ultimi tempi.


 Le fonti a cui potremmo far riferimento per rispondere a questo quesito sono molte, in particolar modo si potrebbe far appello agli scritti di papa Benedetto XVI. Volendo, però, individuare un percorso quanto più semplice e basilare sembra opportuno muovere i passi dagli insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica.

In primo luogo, i numeri 1846, 1847, 1848 ci dicono che il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio nei confronti dei peccatori. I punti richiamati, non a caso, sono trattati dall’articolo 8, dedicato al tema del peccato. La dottrina ci invita ad accogliere la misericordia divina a patto di riconoscere le nostre colpe. La conversione del nostro cuore passa, dunque, dalla via maestra del sacramento della Riconciliazione, dall’incontro con Cristo nelle mura della sua casa, la Chiesa.

A conferma di questa conclusione depone il numero 2040, che rileva come la Chiesa “nella sua sollecitudine materna, ci accorda la misericordia di Dio, che trionfa su tutti i nostri peccati e agisce soprattutto nel sentimento della Riconciliazione. Come madre premurosa, attraverso la sua liturgia, giorno dopo giorno, ci elargisce anche il nutrimento della Parola e dell’Eucaristia del Signore”. Cristo stesso richiede misericordia, non sacrifici (Mt 9,13: 12)  compiuti senza un corretto atteggiamento interiore, cioè scollegati dall’amore verso il prossimo (cfr. 2100), ovvero privi di carità (cfr. 1829).

La misericordia, inoltre, suscita anche scandalo (589) agli occhi della formalistica logica farisaica del tempo  la quale, mutatis mutandis, richiama, al giorno d’oggi, il moderno approccio del “politicamente corretto” menzionata nei precedenti interventi di questo blog. Gesù, dunque, scandalizza gli astanti identificando il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori, verso gli ultimi della società, con l’atteggiamento di Dio stesso nei loro confronti. L’idea di un Dio che si fa vicino all’uomo e che assume la stessa condizione umana, come è noto, fece scalpore, come le sue parole e i suoi comportamenti.

Il Catechismo (1439) suggerisce, poi, di porre mente alla parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-24) per chiarire ulteriormente questo concetto. Il figlio è accolto alla mensa del padre solo dopo il pentimento  e la decisone essersi dichiarato colpevole dinanzi al padre di tutte le scelte da lui compiute. La gioia del padre suscita, tuttavia, le perplessità del figlio che gli è rimasto fedele e che pensa di aver subito, di conseguenza, una discriminazione. Al di là delle interpretazioni del passo in esame, sembra evidente che Gesù voglia porre l’accento sul’assenza di limiti della misericordia, salvo quelli individuabili nella scelta dell’uomo di perseverare sulla via del peccato e, quindi, di rifiutare la misericordia del Padre. La misericordia del Padre passa sempre dalla sua giustizia. Una diversa soluzione non potrebbe portare chi ha basato la propria vita su un atteggiamento contrario a quello descritto alla salvezza ma, piuttosto, alla condanna eterna.  Come rilevato, infatti, dal numero 1864 “un tale indurimento può portare all’impenitenza finale e alla rovina eterna”. Responsabile di questa scelta è sempre e solo l’uomo, che decide di respingere la salvezza offerta dallo Spirito Santo sulla scorta di una relazione “fai da te” con Cristo e con la sua legge.



Su questo tema mi sembra utile richiamare le parole di don Giussani (GIUSSANI, Alla ricerca del volto umano, Milano, 2007, p. 42) che chiariscono ulteriormente la tematica in esame. Egli osserva come “la misericordia non si esaurisce nell’immagine della bontà del Signore, e chi percepisce questo mette le basi per far nascere in lui un esito diverso rispetto a chi affronta separatamente la bontà e il castigo del peccato. Se il castigo infatti fosse l’unico esito del peccato, il peccato ci definirebbe. Invece, nonostante tutto, il peccato non ci definisce,[…] non è l’ultima parola. E qui è il miracolo della misericordia nella Misericordia, cioè nell’Essere. […] Se l’uomo riconosce la misericordia, si accetta e si affida per essere cambiato ad un Altro, all’Altro misericordioso. […] E allora eccolo il miracolo della misericordia: il desiderio di cambiare: questo definisce il presente nuovo dell’uomo peccatore”. Come sottolinea l’A., la parola chiave dell’ultimo periodo è il termine “presente”, in quanto, come si è visto trattando la parabola del figliol prodigo, l’uomo si deve affidare alla misericordia nel tempo dell’ora, dell’hic et nunc. Deve essere un moto reale, che vede la fine della sua corsa nel desiderio sincero di incontrare Cristo nella sua Chiesa. L’uomo, come essere storico, costituisce il suo presente giorno per giorno e, da questa prospettiva, si capisce come ogni passo verso la Chiesa sia anche un passo verso la propria salvezza.



Queste premesse permettono di effettuare alcune (pleonastiche) riflessioni.

La misericordia costituisce, in primo luogo, una condizione normale della vita del cristiano, tanto nel rapporto verticale con il divino, quanto in quello orizzontale nei confronti del prossimo. In particolar modo, nel rapporto verticale la misericordia del Padre si sostanzia nel sacramento della Riconciliazione.

In secondo luogo, la condizione da ultima richiamata impone, come si è testé rilevato, che l’uomo, segnato dal peccato, si penta, accogliendo, così, l’amorevole abbraccio di Cristo. La misericordia, in altri termini, non costituisce una blanda amnistia a cui il cattolico può disinvoltamente far appello ogni volta che lo desidera, una sorta di tappeto sotto il quale nascondere impunemente i propri errori. La misericordia risponde, al contrario, alla dimensione ontologia dell’uomo, inteso non come essere segnato dal peccato, ma, al contrario, come uomo chiamato, secondo il suo ordine, alla santità e che deve confrontarsi costantemente con gli attacchi del diavolo. La santità si costruisce giorno per giorno (cfr. ancora in numero 2040), a partire dalla scelta di rifiutare le tentazioni del demonio. Santo, come osserva Sant’Ambrogio, non è chi non cade mai ma chi cerca, continuamente di non cadere e, come precisa ancora don Giussani (cfr. op. cit., p. 91), “veramente immorale dunque non è chi sbaglia , ma chi non avendo la memoria e la passione per Cristo non tende ad altro che a sé”. Le buone intenzioni per il futuro, in questa sede, rilevano ben poco, anzi prestano il fianco alle tentazioni del diavolo che, facendo leva su questa imperfezione, cerca di forzare la nostra coscienza ad intraprendere un’amicizia superficiale e sbagliata con Gesù, allontanandoci, lentamente, da Lui e dalla sua Chiesa.

Proviamo ad immaginare, ancora una volta, quel figlio che, tornato a casa, non si sia pentito di quanto commesso. Il suo rientro poteva forse essere motivato dall’opportunità di approfittare della disponibilità del padre, delle sue ricchezze, magari depredandolo una seconda volta. La risposta che ci saremmo potuti aspettare  dal padre dinanzi alla pretesa avanzata, allora, sarebbe stata certamente diversa da quella letta nelle pagine del Vangelo. Nonostante tutto l’amore che un padre può avere nei confronti del figlio, egli sarebbe stato obbligato a cacciarlo, ma, si badi bene, non per mancanza di misericordia ma a causa della scelta del giovane di approfittare della generosità del suo genitore. Per immedesimarci in questa situazione pensiamo alla piaga della droga giovanile e al travaglio dei genitori dinanzi alla scelta dei propri ragazzi di avere uno stile di vita malato e capace di segnare tragicamente il loro destino. In questa prospettiva sembra chiara la ragione per cui Sant’Alfonso Maria de Liguori affermò, con un pizzico di santa ironia, che “ne manda più all'inferno la misericordia di Dio che non la sua giustizia".

Quindi, in conclusione, la misericordia costringe il fedele ad una profonda rilettura della propria relazione con Cristo per mezzo della sua Chiesa. La Pulzella vi invita a passare dalla porta Santa solo dopo essere passati per il confessionale. Solo seguendo questo sentiero la misericordia del Padre vi potrà realmente toccare. 



Alessando della Fonte

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